Caro E.,
ieri sera sono andato a dormire con una nuova domanda che mi frullava per la testa e che non c’entrava nulla con il Nulla: perché proprio io ho deciso di provare ad esprimermi attraverso le poesie? Con tutte le possibilità che ci sono nel mondo, perché proprio la poesia?
Allora stamattina, mentre girovagavo per il salotto trasportandoti nel passeggino alle 6.30, nel tentativo di farti riaddormentare, ho iniziato a pensare e ripensare a quale potesse essere la risposta. Ne ho trovate 3 che si completano a vicenda e coesistono in questa sfera della mia vita.
Le prime due risposte sono molto pragmatiche, mentre la terza è più concettuale e insieme dovrebbero darti l’immagine del me che il primo gennaio 2022 inizia ufficialmente la sua avventura nel mondo dei versi.
La prima risposta è costituita dal fatto che ho iniziato a scrivere poesie quando è nata in me un’urgenza comunicativa: avevo già iniziato il blog, ma avevo bisogno potermi esprimere ancora più liberamente, ancora più velocemente e “meno formalmente”, intendendo con ciò la necessità di non dovermi collocare in contesto coerente in cui sviluppare e argomentare un pensiero come faccio qui, quando ti scrivo. Avevo bisogno di poter imprimere pensieri e immagini che vagavano (e vagano) per la mia mente. Collegato a questo bisogno trova posto la seconda risposta, ovvero l’accessibilità tecnica: di fatto per scrivere una poesia devi essere in possesso di un foglio, una penna e la capacità di scrivere in una determinata lingua.
Attenzione, non ti sto dicendo che per saper scrivere una poesia bastano quelle tre cose, ma sono gli strumenti necessari e sufficienti per poterlo fare materialmente (non sono sufficienti per farlo bene, consapevolmente o per scrivere un sonetto).
Quindi la poesia sembrava lo strumento di più facile accesso per soddisfare quella urgenza comunicativa, che non aveva ancora niente a che vedere con la condivisione ma si trattava semplicemente di rendere in qualche modo tangibile e concreto un pensiero o un’immagine.
E così credo che sia iniziata, semplicemente vedendo che quello che scrivevo aveva un senso ai miei occhi, che c’era una corrispondenza tra quello che vedevo sul foglio e quello che avevo per la testa qualche minuto prima. Ed ecco che il fuoco si alimenta e vuoi bruciare ancora e ancora.
Infine, sono giunto alla risposta ultima, al nucleo da cui scaturisce anche la condivisione delle poesie: la poesia, e l’arte in generale, sono prive di responsabilità oggettive.
L’unica responsabilità attribuibile all’arte è quella di rappresentare l’immagine (in senso lato) viva negli occhi del creatore dell’opera. La conseguenza è una missione evocativa dell’opera, che non sarà mai in grado di evocare la stessa immagine nell’occhio dell’osservatore, ma evocherà qualcosa di nuovo e leggermente diverso, subordinato all’esperienza di chi guarda. Un saggio ha la responsabilità oggettiva nel sostenere la sua tesi, un romanzo giallo ha le responsabilità di presentare e risolvere un mistero, un racconto dell’orrore ha la responsabilità di spaventare in qualche modo il lettore.
Ma che responsabilità ha un dipinto? O una scultura? La sola responsabilità di esistere come immagine del suo creatore. Pensa banalmente in quanti modi è stata rappresentata la morte e scegliamone uno: il soggetto di nero vestito, con la falce alla mano. Non c’è nessuna responsabilità in questa immagine. La morte non è una persona, non ha sembianze umane, non va in giro con una falce. L’immagine evoca (e quello che evoca non deve essere universale e di fatto non lo è), ma non ha la responsabilità di sostenere la sua evocazione, la lascia a noi, a noi il privilegio di mantenere o scartare quella evocazione. Ecco perché la poesia ha fatto breccia nel mio cuore, perché è espressione priva di responsabilità oggettiva, è il mio quadro, la mia immagine libera fatta di libere associazioni, specchio di un mio pensiero, emozione o sensazione. Hai mai attribuito responsabilità ad una emozione? Le hai mai chiesto di giustificarsi? Credo che l’emozione sia l’evocazione per eccellenza, la reazione pulsionale e pura agli input e io per tanto tempo ho cercato di tenerla a bada, limitata e controllata senza permetterle di evocare immagini. Oggi quelle immagini sono le mie poesie, il mio modo di veicolarle.
Ti auguro un giorno di trovare un modo per raccontare le tue, in piena libertà.
A presto,
M.