Caro E.,
non so se ti è mai capitato, ma a volte sembra che le cose accadano come se fossero pezzi di un puzzle: si incastrano nel momento della tua vita in un modo così naturale da pensare che stessero aspettando proprio quell’istante per svelarti un frammento del disegno. Se poi quel pezzo del puzzle è un libro per me significa uragano di pensieri che spazza la mia mente da nord a sud in cerca del più piccolo lembo di terreno e come un aratro rimescola il mio campo.
Quel che resta è una maggiore presenza di me stesso, una nuova connessione e un panorama nuovo, più armonioso. “Uno, nessuno e centomila” è stato tutto questo: uno specchio profondo in cui riflettere la mia esistenza e il mio modo nuovo di stare al mondo.
Sono più in difficoltà del solito ad individuare una suggestione ma ci sono due parole che in qualche modo proveranno a guidarmi in questa passeggiata tra i colli della mia mente. Una passeggiata che si fa da soli, inevitabilmente, perché saremo sempre altro agli occhi di chi ci guarda e sempre altro sarà ciò che mostreremo agli occhi di chi lo guarda. Sono rimasto a lungo su questa solitudine cercando di capire se esistesse un modo per eliminarla e per fa sì che le costruzioni e la vista coincidano. Si è rivelato un pensiero sterile: nessuno può controllare la costruzione fuori da sé o definirne una negli occhi dell’altro, è un privilegio che non ci appartiene.
E costruire non è altro che prendere forma in un luogo e in un tempo e tale opera è opera di quel nessuno che è diverso da niente e che chi si è demolito ha imparato a conoscere. Quel nessuno esiste ed è architetto di ogni costruzione di me e di ogni costruzione degli altri in me: un Ulisse instancabile.
Cosa resta allora?
Resta mostrare questa costruzione, raccontare i suoi pezzi sapendo che stiamo raccontando il noi di oggi, in questo spazio. Ci resta cercare, se esistono, fondamenta su cui poggiano diverse costruzioni. Ci resta la consapevolezza di poter cambiare e di poter essere diversi anche dai noi stessi in un grande disegno gestito da nessuno. In ultimo ci resta la sensazione che ciò che vediamo è opera e costruzione a sua volta e probabilmente non conosceremo mai altri nessuno. Sarebbe bello però conoscere il proprio.
Chissà queste righe, in un’altra storia di cosa avrebbero parlato e chissà per quanto resteranno immagine di me o demolite dal prossimo pensiero che darà vita ad una nuova costruzione: vista così la vita sembra un’avventura pazzesca.
Ma allora cosa ci faccio qui? Perché scrivere?
Non lo so bene, credo che sotto sotto io voglia solo dirti quanto sono innamorato di quel nessuno che è in grado di sostenerti al vita, che spogliato di tutto ti fa esistere ancora e in quel niente ti permette di assumere mille forme…anzi, centomila. Credo di aver capito che non posso controllare l’immagine che si fa di me chi mi sta di fronte, tu per primo. E non posso pretendere che tu mi veda in un modo diverso da come mi vedi, ma posso mostrarti ugualmente la mia costruzione mentre mi costruisco la tua guardandoti.
Il nessuno di ognuno è forse irraggiungibile per chiunque e allora non ci resta che metterci ad osservare le infinite architetture, cercare di scovare i piccoli mattoncini e costruire la nostra: scegliere cosa mettere sulla facciata e cosa tenere al sicuro nelle segrete. Pronti a cambiare ogni qualvolta ci sentiamo stretti dentro a muri ormai fuori misura.
Questa idea, questa suggestione, mi ha restituito un senso di pace profonda, di consapevolezza diversa: in un certo modo rappresenta il cancello di ingresso ad un mondo libero dalle aspettative. Pensare che nessuno potrà vedermi come io mi vedo rende inutile l’aspettativa di riuscirci e libera la possibilità dell’infinito presente, composto di forme che si rinnovano, di connessioni così come noi lei vediamo. Questa lettura mi ha rimesso al centro della mia costruzione, liberandomi anche dell’ansia di raggiungere quel nessuno ma godendo delle opere che insieme edifichiamo: non costruire più un’immagine da consegnare agli altri ma consegnare la forma che abbiamo costruito.
Per uno che ha sempre messo davanti a sé il giudizio degli altri trovare questo libro è come iniziare un’avventura di libertà, il cui tesoro da raggiungere è la consapevolezza che il giudizio altrui è dato su un‘immagine che è diversa dal sé, su una forma costruita da chi ti guarda. Lasciamo a lei allora l’onere di assorbirlo (il giudizio) e continuiamo a costruire, a prendere forma.
Avrai capito che le parole di questa lettera sono solitudine e costruzione (o forma se preferisci).
A presto,
M.