2023-02-15

Imparare ad aspettare

e ad aspettarsi

Caro E.,

parlare del tempo, non quello metereologico, e non essere un fisico significa ripetere concetti e stereotipi triti e ritriti dai secoli dei secoli. Nonostante questo, mi assumerò il rischio di raccontarti una cosa che ho imparato in terapia e che oggi fa parte del mio bagaglio per guardare il mondo, che di fatto c’entra un po’ con il tempo: imparare ad aspettare.

Nel mondo della perenne urgenza in cui vivo io e suppongo vivrai anche tu, aspettare è diventato un concetto negativo, che ti fa perdere il treno, che ti lascia indietro e che ti pone in una posizione sfavorevole (per cosa non è sempre sempre chiaro). Insomma diventi passivo.

Apro una parentesi sui treni: non so se te lo ho mai scritto (in caso scusa la ripetizione), ma io non credo ai treni che passano una volta nella vita, ma solo alle persone che vanno in stazione. Chiusa la parentesi.

Dicevo, in questo mondo (di cui sopra) io, invece, sto imparando ad aspettare in modo attivo: osservando attentamente quello che mi succede e quello che succede intorno a me. Aspettare in modo attivo a volte significa anche darsi il tempo di lasciarsi andare, di vedere dove ti porta la corrente senza mettere il timone per forza in una direzione, stando solo attenti a non andare a sbattere o arenarsi. Altre volte significa darsi il tempo di non decidere, ammesso che sia una frase con un senso. Mettiamola così: darsi il tempo di non decidere sulla base di schemi preconcetti in contrasto con l’esperienza che stai vivendo. Più chiaro? (non credo…)

Vedi, aspettando in modo attivo in questi ultimi anni mi sono permesso di ascoltare la mia ansia innanzitutto senza contrastarla ciecamente, ma dandole prima il tempo di spiegarsi (se così si può dire) e continuando in questa pratica nell’ultimo anno e mezzo ho iniziato ad abbracciare la complessità della vita. Durante le attese ho compreso come i tentativi di classificazione e di semplificazione inevitabilmente escludono qualcuno o qualcosa e a volte quel qualcuno ero io: invece la Realtà (con la R maiuscola) è un sistema di una complessità travolgente e incontenibile, composta a sua volta di tante realtà più o meno probabili degne di poter esistere e poter essere considerate. Spero che tu leggendo queste frasi ti faccia una risata per la loro banalità nel tuo tempo, dove mi auguro che sempre più impalcature etiche e morali abbiano lasciato il posto alla discussione e all’espressione. Un tempo in cui si sia ritornati a parlare di comunità e non di regole. Il non aspettare ci fa convergere in qualcosa di già noto che crea una abitudine e una chiusura che noi abbiamo eletto a valore: chi si permette di metterli in discussione? O meglio, chi viene accettato ugualmente nonostante il suo metterli in discussione?

Ma la cosa più illuminante dell’attesa e che ad un certo punto ti accorgi che non stai più imparando ad aspettarE, ma stai imparando ad asepttarTI: stai imparando a lasciare a te stesso il tempo per manifestare quella complessa realtà che ti contraddistingue e stai imparando ad accettarla. Inizi togliendo qualche vincolo (etico, morale, educativo, scolastico ecc…) e senti improvvisamente che le tue gambe possono muoversi in più direzioni, poi elimini qualche senso di colpa e ti accorgi che i polmoni hanno più spazio di quello che pensavi ed infine elimini un po’ di senso di responsabilità e i tuoi occhi iniziano a vedere l’invisibile. Se poi, per caso, riesci anche a scrollarti di dosso un po’ di giudizio altrui allora vedrai che le tue mani inizieranno a creare. Ma qui è già un livello “pro”.

Imparare ad aspettare fa parte di quelle cose che auguro a chiunque: sperimentare davanti ai propri occhi il ridimensionamento delle cose della vita, la manifestazione dell’infinita varietà, la libertà dell’innumerabile espressione.

Ma per parlare un po’ di cose concrete e non solo di frasette: che cosa ho imparato di me aspettando?

Ad esempio ho imparato che sono quello che gli anglosassoni chiamano uno “slow thinker”. Io sono lento, imparo lentamente, non ho la battuta pronta, non sono un uomo da improvvisazione. La mia migliore risposta non sarà mai quella di oggi, puoi sperare in quella di dopodomani.

Poi ho imparato che sono un “multipotenziale” (il termine l'ho rubato a Emilie Wapnick): mi piacciono e sono interessato a tante cose e non ho intenzione di sceglierne una per vantare una qualche specializzazione. Sarò felicemente mediocre (o anche meno) in tutto ciò che mi interessa e continuerò a scoprirne di nuovi (nel tempo che posso dedicargli). Saper aspettare, in questo circostanza, è il miglior filtro per capire cosa veramente mi interessa in un determinato periodo, cosa resta intrappolato nella maglia nonostante gli scossoni. Poi non si tratta che di fare, con i miei tempi. Ho passarto molti anni a non coltivare i miei interessi per cercare quella chimera chiamata "vocazione" in uno stato di frustazione e di autoimposizione che ha avuto come unico effetto quello di farmi sfuggire un sacco di occasioni (e adesso ci sono molte stazioni da visitare e viaggi da intraprendere). Selezionavo a priori in base ad una schema a che avevo definito coerente con una scelta fatta a 13 anni ma che in realtà non mi rispecchiava più, o forse non mi ha mai rispecchiato. Scoprire questa parola, dare un nome a me stesso è stato incredibilmente liberatorio (ma di questo ti parlerò tra un po', intanto se ti va ascolta qui).

Queste due mie caratteristiche le ho imparate dandomi il tempo di non classificarmi, di non uniformarmi a “standard”, aspettative, trend ecc… Altrimenti, starei ancora cercando qualcosa, una cosa, a cui dedicare la mia vita e in cui essere un “primo”, con tutta la frustrazione che provoca rinnegare e soffocare se stessi. Imparare ad aspettare per me è diventato come saper trattenere il fiato quando il mare in tempesta ti travolge: basta immergersi per trovare mare calmo e comprendere che le tempeste vivono in superficie, ma nel tuo profondo trovi sempre la calma del tuo centro.

Allora nelle tempeste della tua vita, come in quelle della mia, ci auguro di immergerci invece di combattere le onde o cercare una terraferma in cui ripararsi. Ci auguro di ritornare al mare quieto del nostro io e poi risalire per vedere cosa la tempesta ha lasciato, sfruttando il mare calmo per contemplare il nuovo noi.

A presto, M.