2023-06-30

Provare ad essere presente

La meditazione come strumento

Caro E.,

è qualche mese che ho iniziato a meditare o quantomeno ci provo a ritagliarmi uno spazio in cui prendermi cura del mio presente. E siccome per conformazione innata il mio cervello deve avere qualcosa da mettere in correlazione con qualcos’altro ho anche iniziato a chiedermi perché sono arrivato a iniziare questa nuova esperienza. Di quale domanda la meditazione è la risposta?

Allora colgo l’occasione di condividere almeno con te un paio di pensieri che mi sono frullati per la testa cercando di costruire una catena indicativamente logica di cause e conseguenze.

Ma hai notato anche tu che ultimamente mi sto chiedendo un sacco di perché? Dovrei cambiare il nome del sito in “thinkwhy”. Anyway, torniamo a noi.

Oramai lo sanno anche i muri che soffro di ansia e che l’ansia è il frutto della proiezione di un futuro incerto e bla bla bla…

Cosa succede allora se ti impedisci di andarci in quel futuro? Se obblighi la tua mente a restare esattamente nel momento presente? Succedono due cose:

  1. Vivi un momento di assoluta presenza (o potremmo dire “essenza”)
  2. Non puoi essere giudicato

Piccolo passo indietro, mi sa che ho messo i “bla bla bla” troppo presto. Io soffro d’ansia perché mi proietto in un futuro incerto per il quale non ho sufficiente autostima per confidare di saperlo affrontare al meglio e quindi mi auto espongo al giudizio altrui che è in grado di minare la poca convinzione che ho nel fare le cose. In un circolo vizioso si diventa sempre più insicuri e si deve fare un bello sforzo per spingersi oltre e cercare di invertire la rotta accumulando esperienze positive.

Detto ciò, torniamo alla meditazione: sapersi focalizzare nel presente, ammesso di riuscirci, divora il problema. Quando sei nel presente non puoi essere altrove e quindi stai esattamente vivendo, stai affrontando questo istante di vita, non puoi avere l’ansia.

Ok, adesso mi odierai, ma altro passo indietro: mi ricordo che quando giocavo a calcio vivevo dei picchi di ansia tremendi che mi facevamo fare scelte idiote per cercare di evitare l’incertezza della partita. Siccome il più delle volte non riuscivo efficacemente nemmeno in quelle, alla fine finivo in campo e quello che succedeva è che quando la partita iniziava ed ero costretto a concentrarmi sul presente (per i motivi sbagliati magari, come la paura di sbagliare o fare brutta figura, piuttosto che per divertirmi) l’ansia se ne andava, ed ero ovvio che se ne andasse fintantoché non tornavo a pensare al futuro.

Torniamo a noi, di nuovo.

Quando medito sono concentrato sul presente, quindi l’ansia se ne va. Se questa concentrazione la provo a mettere nella quotidianità il livello di ansia si riduce perché sono concentrato a vivere l’esperienza del presente. E forse con il punto 1 ce l’abbiamo fatta.

Il giudizio ora, spada di Damocle che pende sulla mia testa da che ne ho memoria. Il problema del giudizio non è il fatto che esista, ma il fatto che mi colpisca. E perché il giudizio mi colpisce? Perché ho agito in funzione di quello, proiettando in qualche modo la mia azione sul suo possibile giudizio. Invece di agire per dare il meglio di me stesso, ho agito per avere un giudizio o nella migliore delle ipotesi ho dato il massimo per paura di un giudizio negativo.

Ora, io sono lontano anni luce da aver risolto il mio problema con il giudizio ma la meditazione mi sta aiutando una briciolina a spostare sempre più a ridosso dell’esperienza quel timore. Focalizzarmi sul presente per definizione non mi permette di pensare al futuro quindi il mio agire può essere liberato dal suo risultato e può esprimere se stesso come massima espressione di ciò che sono in grado fare in questo momento e niente più.

Proviamo a tirare una linea a questo punto.

La meditazione è la risposta alla domanda “cosa mi può aiutare a non sabotarmi?” perché sto imparando un po’ alla volta a vivere momento presente dopo momento presente alternando momenti di “pianificazione” (a rischio ansia) a momenti di “azione” e vivendo le conseguenze semplicemente per quello che sono; attimi di presente legati dalla relazione causalità. Cerco di agire per vivere l’esperienza e lasciare che il colpo del giudizio di chi è rimasto a guardarmi finisca a vuoto, lasciando solo ciò che di buono serve (una analisi per migliorarsi).

Se la strada per arrivare a quel risultato è lunga un metro ad oggi credo di averne percorso un centimetro, ma ti posso dire che il grado di appagamento per essermi concesso la libertà di agire con il solo obiettivo di farlo è davvero elevato.

Liberarsi dell’effetto del giudizio altrui credo sia il mio Everest e l’impresa più grande che possa compiere, ho quasi paura al pensiero di che cosa potrebbe liberare scalare quella montagna (a proposito di proiezioni). Ma gli scarponi li ho allacciati quindi…

… spero di arrivare in cima e trovarti già lì.

A presto, M.