2023-07-29

Storia di un fallimento

e l'arte di raccontarsi storie

Caro E.,

questa lettera doveva essere una cosa totalmente diversa dalle righe che stai per leggere: doveva raccontare di una avventura, del tuo primo volo, di una piccola impresa sportiva. Doveva essere piena di foto e di storie. Invece niente, tutto è andato in fumo (a tratti letteralmente in fumo) e mi ci sono voluti alcuni giorni per riordinare l’idee e riuscire a scrivere qualcosa da poterti lasciare come racconto di questa esperienza fallita.

Il fallimento è un po’ sulla bocca di tutti mentre scrivo, è diventato quasi un aspetto culturale come motore per il successo, ma la realtà (almeno per me) è che sentire di aver fallito non è proprio tutta questa cosa entusiasmante, soprattutto quando annienta ogni aspettativa costruita nell’arco di un intero anno.

Sì, perché questa storia inizia a giugno del 2022, quando io e una mia cara amica decidiamo che l’anno dopo avremmo affrontato la traversata dello stretto di Messina a nuoto: abbiamo iniziato ad allenarci con un preparatore e abbiamo iniziato a condividere questo sogno che nel tempo è diventato sempre più concreto fino a diventare un progetto. Tutto era organizzato, le valigie pronte, le carte di imbarco preparate ma a poco più di 12 ore dalla partenza tutto è sfumato: l’emozione del primo volo cancellata, l’aspettativa di quella vacanza tutti insieme in un posto non ancora visitato frantumata, le valige rimaste chiuse in salotto, la giornata da far ritornare una giornata “normale”. Non ci sarebbe stato più nulla da raccontare: il giorno si è improvvisamente svuotato.

E la prima cosa che mi ha assalito, prima ancora della tristezza e della rabbia è stato il senso di delusione perché sentivo di aver fallito, la frustrazione per non essere riuscito a portare te, la mamma e i nostri amici in questo viaggio tanto desiderato. Non è la prima volta che fallisco, o che mi sento di aver fallito, ma oggi ho qualche strumento in più per provare ad analizzare, per scegliere come guardare a questa situazione: ho imparato che quando mi sento di fallire è come se mi rompessi in tanti pezzi e negli ultimi anni ho imparato ad avere il coraggio di guardarmi anche rotto e di prendermi il tempo di risistemare i cocci senza fare finta di essere ancora tutto intero. Perché non si rimane sempre interi.

Il modo con cui cerco di ricompormi è quello di raccontarmi la storia di questa avventura sfumata in tanti modi e cercare quella che in qualche modo mi apre una prospettiva verso una azione funzionale e positiva per il futuro: aggrapparsi alla delusione per rimanere tristi non porta beneficio a nessuno e essere compianti non è una grande prospettiva di vita. C’è di meglio da fare.

La prima storia che mi sono raccontato la possiamo etichettare come “La super razionale” e narra circa così: “Se l’unico tuo problema è una vacanza saltata significa che sei un privilegiato nella vita, c’è chi non ha niente o che addirittura non può scegliere se iniziare un viaggio rischioso. C’è chi muore di fame e tu non puoi fare di una circostanza avversa un motivo di rabbia o tristezza”. Tutto vero, tutto assolutamente vero. Ma non mi aiuta, non mi fa sentire meglio. Mi sento solo terribilmente male per tutte le persone che soffrono a causa delle politiche economiche, sociali e culturali che si sono imposte nel mondo. Aumenta ancora di più il senso di colpa per essere dalla parte privilegiata della società e rabbia su rabbia non è una buona prospettiva. Non è il caso di proseguire questa strada.

La seconda storia invece l’ho chiamata, in modo arbitrario e fuori contesto, “La Macumba” e la potremmo riassumere così: “qualcuno” ha fatto in modo che gli eventi vi facessero non partire perché non sarebbe stata una vacanza ma un’odissea. Apriti cielo! Non voglio nemmeno commentare questa ipotesi avversa all’autodeterminazione. Quel qualcuno avrebbe potuto avvisarci prima che ci impegnassimo a preparare tutto allora. Dai, andiamo avanti.

La terza storia è un classico: “La sfiga”. Quali erano le probabilità che proprio a ridosso della nostra partenza prendesse fuoco l’aeroporto di Catania dove saremmo dovuti atterrare E che poche ore prima del decollo il nostro volo fosse dirottato a Trapani (4 ore da Messina) rendendo questo viaggio un’incognita un po’ troppo grande (specialmente per il ritorno)? E chi poteva immaginare che dopo aver disdetto il volo e tutte le prenotazioni cominciassero ad arrivare notizie di una Sicilia che prendeva fuoco proprio nelle zone in cui saremmo dovuti andare noi? Che anche l’aeroporto di Palermo era andato in tilt? Che il caldo aveva procurato un danno alla rete idrica di Catania che in più si è trovata in mezzo ad un blackout?

Non verrebbe anche a te di dire: “Siete stati proprio sfortunati!”. Eh no, sfortunati un bel niente, questo è l’effetto delle politiche ambientali umane da quando l’industria ha definito il nuovo percorso di civiltà. C’è molta poca sfortuna e molto “dolo” in questi eventi che hanno messo in difficoltà la regione siciliana. Quindi anche questa storia non funziona, non funziona nascondersi dietro una sfortuna che invece richiede giustizia e responsabilità. I casi avversi nella vita esistono, le coincidenze negative forse anche. Ma questo non è quel caso, ogni nascondiglio è andato a fuoco. Quindi niente, anche questa storia aggiunge negatività su negatività.

Sono sincero, mi stavo cominciando a scoraggiare: da una parte la rabbia per l’occasione sfumata, dall’altra la frustrazione e il senso di impotenza per una situazione che di fatto mi vede responsabile. Tutto puntava al nero, in un modo o nell’altro, e non trovavo un punto in cui appoggiare il piede per ripartire: sembrava la classica situazione in cui solo il passare del tempo avrebbe smaltito il carico ma da cui forse non avrei imparato molto.

Guardando le valigie distese per terra una mattina però a iniziato a farsi strada un’ipotesi che non avevo considerato: noi non eravamo pronti. Io non ero pronto.

Non ero pronto ad affrontare tutte quelle cose insieme: non è stata la sfortuna, non è stato un santo protettore e non si tratta di privilegi. Si tratta di essere pronti. Questa consapevolezza pone il fallimento sotto un’altra luce perché fissa una partenza e traccia una rotta. Adesso posso iniziare a prepararmi per essere in grado un domani di affrontare questa situazione. Abbiamo rinunciato al viaggio per paura delle difficoltà che avremmo potuto incontrare e a cui ti avremmo sottoposto senza sapere se fossi e se fossimo in grado di affrontarle tenendoti al sicuro. Non è stata la scelta giusta: è stata l’unica che potevamo fare perché non eravamo pronti a farne altre.

Questo mi ha rasserenato, adesso so che devo rimboccarmi le maniche e costruire quella scala mentre ci salgo sopra per colmare la distanza dalla mia posizione attuale. Raccontarmi questa storia mi ha permesso di passare da un atteggiamento non funzionale ad uno funzionale: organizzeremo delle piccole avventure, inizieremo a muoverci senza troppi bagagli, proveremo a cogliere positivamente qualche piccolo imprevisto e trasformarlo. Dovremmo farlo un po’ alla volta e così un giorno saremmo pronti per un’avventura più grande.

Raccontarmi queste storie mi aiuta a scegliere come agire. I fatto sono lì, davanti agli occhi di tutti: quello che è successo in Sicilia è un fatto, la nostra decisione di non partire un altro fatto. Non si tratta di cambiare la realtà (qualunque cosa significhi) e non si tratta di raccontarsi bugie (qualunque cosa significhi): si tratta di decidere quale direzione far prendere ai nostri passi. Cercare quella che punta un orizzonte che sembra felice dovrebbe essere una possibilità per tutti, percorrerla un diritto di ognuno.

A presto, M.