2023-09-14

13.09.2023

Rivoltato come un calzino

Caro E.,

ci sono giorni che ti rivoltano come un calzino e ti frullano tutto quello che hai dentro.

Questo è stato uno di quei giorni, per me è ieri mentre scrivo: sono arrivato a sera stanco e nonostante ciò non c’era verso di lasciare andare la testa e rilassare i muscoli. La mia mente è un tornado di pensieri, domande e considerazioni mentre il mio stomaco è in subbuglio emotivo e fanno a gara per salire sul palcoscenico della mia coscienza.

Allora scrivo, non esiste altra soluzione al momento che la carta e la penna. Prima di tutto la carta e la penna nel silenzio della mia camera mentre il mondo dorme.

La carta e la penna perché mi fanno rallentare, mettere in ordine le idee e creare una sequenzialità di pensieri. Ma soprattutto perchè scrivendo non incido solo parole, ma traccio nuovamente tutte quelle emozioni e sensazioni che hanno pervaso la mia anima in quella giornata. Il tratto, la pressione, il ritmo e la velocità cambiano a seconda di quello che sto rivivendo. Mettere sul foglio mi permette di rendere tutto reale e tangibile, posso andare a ritoccare quelle emozioni e anche adesso che le mie dita digitano una tastiera e il mio occhio guarda un foglio tutto si risveglia, tutto rivive: una storia dentro la storia.

Carta e penna

Questa storia di centrifuga emotiva, figlio mio, inizia di notte con una fantastica conversazione sulla libertà, sull’amore e sulla libertà dell’amore che ho avuto con la mamma. Abbiamo parlato, tra le altre cose, del nostro posto nel mondo come famiglia e del perchè siamo qui, di che cosa possiamo dare e di che cosa possiamo essere. Una conversazione stimolante e avvincente, ma, come si sa (o almeno come credo di pensarla io), le conversazioni notturne spesso sembrano un sogno. E al mio risveglio, quel 13.09.2023 è come se mi fossi svegliato due volte. Mi sono alzato dal letto con la sensazione di vivere in un mondo che mi sopporta ma che non mi sostiene. Mi sono sentito di una forma che ha un nome solo in quel mondo di sogni, estraneo e rifugiato in idee che sembra quasi non abbiano parole per essere raccontate, pieno di pensieri che non so spiegare per paura che non vengano capiti e chi li potrebbe capire non sempre è abbastanza vicino per poterne sentire il sussurro e custodirli. Nello specchio del bagno continuo a vedere un miraggio di ciò che vorrei essere: mi riconosco ma non lo conosco. Quel riflesso vive in un mondo che al di qua dello specchio io non riesco a trovare e mi chiedo se valga ancora la pena cercare mentre il mio interiore mi spinge a non mollare. Ed è un po’ come se mi scollassi e una parte di me mi guarda vivere incarnando tutto quello che potrebbe essere.

Non è una questione di felicità, non è una questione di ingratitudine e non è una brutta vita quello che vivo. Non sono infelice e sono grato di tutta la bellezza che ho a disposizione. Ma ancora non sono io, ancora non ho trovato quello che ho dentro.

Così questa storia, che già così sarebbe sufficiente, ha deciso che serviva un’altra spinta come se l’universo volesse catalizzare tutto in questo momento e così è bastato vedere gli occhi della mia migliore amica piangere e capire di essere troppo distante per poterle tendere una mano per annientare le mie certezze di controllo e razionalizzazione. Così in pochi minuti ho capito di avere bisogno di una riabilitazione emotiva: ero convinto di essere pronto e focalizzato, concentrato e invece non lo ero. Le ginocchia tremavano e il nodo alla gola si è fatto stretto.

Sono rimasto tutto il tempo con un biglietto in mano in cui avevo scritto qualche pensiero senza trovare il modo di darglielo (poi ci sono riuscito per fortuna) e ho avuto la sensazione di non sapere dove stare, di non capire che posto occupare nello spazio e nel tempo con questa amica in questo mondo. E come due titani, questa sensazione e l’importanza che ha per me questa persona, hanno cominciato a rotolarsi tra la mia anima e il mio stomaco lasciandomi lì spettatore di me stesso. In quell’attimo ho capito quanto quella relazione sia preziosa ma quanto ancora non abbia trovato il giusto modo e spazio di manifestarsi: in cui io mi senta nel giusto spazio.

La confusione emotiva ha fatto breccia nella cittadella e si è attivato lo stato di allerta, di ispezione alla ricerca della direzione in grado di ristabilire un ordine e individuare una prospettiva per il mio essere (o la mia essenza). Mi sono rifugiato in piscina, dove si attutiscono i rumori e si riducono gli input visivi. C’ero solo io, una intera corsia per me, un momento in cui potersi sentire serenamente soli: ho lasciato le mie lacrime di frustrazione (le prime dopo anni) e ho urlato nell’acqua tutto il tumulto che mi abitava dentro. Ora stanno lì, magari la prossima volta li risentirò, cullati dall’acqua.

Queste giornate servono perchè riportano sempre a galla l’incompiutezza del mio percorso, il mio bisogno di trovare il posto del mondo o di costruirne uno. Queste giornate sono come un aratro che rimescola la terra e crea solchi e quella lama fa male ma è indispensabile per poter poi seminare, ora devo solo cercare il seme della pianta giusto.

E così mi sento un soldato nella trincea del mio essere, fuori non c’è la guerra (forse è solo dentro) e non c’è un nemico: c’è solo la trincea vuota, di fronte, del mio voler diventare. Ma solo nel buio o nel segreto riesco a fare qualche incursione e provare come si sta in quel mondo che se ne parlo sembra quasi un sogno (come quello di una conversazione sulla libertà, l’amore e la libertà dell’amore).

A presto,
M.