2023-10-10

Sono valido?

Accettare la propria unicità

Caro E.,

ti sei mai fatto questa domanda?

Io me la faccio da tanto e mi sono dato tante risposte diverse nel corso della mia vita e nessuna di queste è mai stata una risposta definitiva. In un mondo che vedo pieno di insegnanti ma con pochissimi studenti, in questo mondo che sembra aver eletto a idolo quel concetto mal definito di normalità a cui ambire come giusta misura non so bene da che parte stare.

In questo mondo, o almeno quello che ho vissuto io finora, che si nutre di realtà condivise, rassicuranti e avverse al rischio mi sento scomodo e allo stesso tempo incapace di alzarmi veramente. Trascino un po’ la sedia, sporgo un po’ la testa, scrivo dei bigliettini ma in qualche modo resto fermo lì anche io.

E allora mi chiedo se sono valido in questo mondo, se valgo qualcosa: se sono valido come figlio, come padre, come marito, come compagno, come amico, come fratello. Come uomo. E quando me lo chiedo inevitabilmente mi soffermo a pensare che cosa sia questa validità: se questa validità dipenda dal mio essere coerente nelle relazioni con quella normalità tanto agognata e dal rispettare quelle aspettative che la realtà comunemente accettata ha eletto a verità; oppure se la mia validità dipenda piuttosto dalla mia anormalità, dall’essere coerente con il me stesso scomodo in questa classe del mondo. E non si tratta di specialità, ognuno porta la sua anormalità dentro ma in un modo o in un altro finisce sacrificata e vedo visi duri intorno alle tavole, composti in sedie su cui vorrebbero saltare. Persone che non si permettono di essere se stesse in nome di quella accoglienza subordinata alle aspettative.

Mi interrogo per capire se il mio valore stia proprio nel non mollare, nell’accettare quello scollamento e raccontare che si può essere felici anche quando non si è normali. In queste interrogazioni mi confronto con chi ci è già riuscito e mi ritrovo a metà strada, come ad un bivio: strada facile, vita normale o strada difficile, vita piena.

La scelta potrebbe sembrare banale, qualche esperienza nella vita un suggerimento me lo ha anche dato, ma non è così facile: accettare di essere unico, unico come chiunque e non speciale come nessun’altro, mi fa sentire molto solo quando intorno non riconosco l’unicità dell’altro. Quando mostrare la mia unicità mi fa sentire sotto i riflettori e non in una stanza piena di altre unicità ogni azione, ogni pensiero e ogni decisione sembra un esame: gli errori pesano il triplo, i traguardi spesso non capiti. Così la realtà che porto dentro deve sempre fare i conti con quello che c’è fuori e decidere se accettare il prezzo della luce del sole o continuare a nutrirsi dei raggi riflessi nella sicurezza dell’oscurità.

Spero che quando leggerai queste frasi tu non ti senta rappresentato o coinvolto da esse: per me vorrebbe dire essere riuscito a trasmetterti la voglia di cercare la tua realtà e averti sempre sostenuto nel portarla con fierezza alla luce del sole. Anche se per qualcuno risulterà scomoda, insolita o incomprensibile.

In tutto questo mio interrogarmi ho sempre fatto finta (fino a poco tempo fa) di non conoscere la risposta a quella domanda perché è una risposta che richiede una certa responsabilità, una certa tenacia. Serve sapersi mettere al primo posto senza essere egoisti, serve accettare che qualcuno a cui vuoi bene potrebbe non capire, serve accettare di essere una voce diversa, un pensiero diverso e una possibilità diversa per chi ti sta intorno. Serve accettare, quando ho scoperto che la mia realtà non coincideva con quello che credevo dovesse essere, che le cose cambino e che il processo abbia bisogno di tempo per stabilizzarsi. Bisogna accettare un po’ di montagne russe emotive. E di quelle montagne russe è necessario anche pagare il biglietto. Sembrava facile sposare il pensiero di altri, uniformarsi a facili approvazioni e rilassarsi in comodo rassicurazioni. Non ha funzionato.

Ma allora ne vale lo sforzo?

Altra bella domanda, ma la risposta è un po’ più semplice in questo caso: non resterà niente del nostro passaggio in questo infinitesimo di tempo che ci è stato concesso, nemmeno Dante sopravvivrà al tempo. Allora ti chiedo se ha senso alla luce di ciò, rinunciare alle proprie passioni, sopprimere le proprie idee e sacrificare la propria realtà all’altare della normalità. Capirlo da adulti è un po’ più difficile perché si deve conciliare con tutto quello che già c’è, il cambiamento deve essere gentile, più lento e paziente: perché non si tratta di fregarsene, di allontanare le responsabilità e di vivere solo per se stessi. Non è anarchia, ma è restituire quello che abbiamo di unico. Non c’entrano il successo, la fama o i follower (non so nemmeno se tu leggerai mai queste parole), si tratta di vivere essendo se stessi, riempire la vita di passione e voglia di esprimersi. Si tratta di accettare di essere testimoni del prendersi cura di se stessi, di andare a caccia dei propri orizzonti senza accettare di camminare nel bagnasciuga. Perché se questo accade l’energia che si scatena è più forte di ogni critica, ogni incomprensione e ogni ostacolo. L’essere te stesso diventa la benzina inesauribile del tuo movimento, una fame insaziabile. E pace a chi non sarà d’accordo. E ce ne saranno tanti.

Spero di riuscire a trasmetterti un po’ di questa energia e di curiosità di scoprire te stesso prima che lo spettro della normalità venga ad abitare il tuo armadio o si depositi nei tuoi occhi. Non è mai troppo tardi per mettersi alla ricerca, ma non è nemmeno mai troppo presto. Io posso mostrarti cosa è stato scoprirlo in un tempo in cui i movimenti sono più lenti, i cambiamenti più graduali, in cui a volte manca il coraggio di fare certe scelte. Spero di vedere in te la vita di chi non ha dato tempo al limite degli altri di plasmare il proprio futuro.

A presto,
M.