Caro E.,
tu lo sai che cos'è il cambiamento? Se cerchi nel dizionario trovi come definizione "atto ed effetto del diventare diverso" oppure ancora "il fatto di diventare diverso in modo drastico o con risultati radicalmente difformi da quelli di partenza". Insomma, chi cambia non è più come prima. A differenza dell'evoluzione che delinea un processo di trasformazione graduale e continuo che porta ad un perfezionamento dell'ente che evolve, il cambiamento non lascia scampo al passato: lo mastica e se lo lascia alle spalle. E io sono cambiato, sono drasticamente cambiato.
Ma tu te ne sei accorto?
In questo periodo di forte e profondo disequilibrio ho maturato la consapevolezza che ad oggi il mio cambiamento, per quanto reale, è stato gestito solo verso l'interno, si consumava e si autoalimentava nella mia interiorità. Io sono una persona diversa, in quasi tutto, ma quasi nessuno lo sa, quasi nessuno ne fa esperienza. Forse qualcuno lo ha intuito, ma quasi nessuno sembra averlo preso sul serio, quasi nessuno ha dovuto cambiare il modo di relazionarsi con me (o almeno questa è la mia percezione) e questo significa che sono io a tenere nascosto il mio cambiamento, a concedere l'interfaccia di ciò che ormai non esiste più. Si nota qualche tratto esteriore, conseguenza di questo cambiamento ma nella sua essenza il mio cambiamento è rimasto una questione interiore.
Forse credevo di poter gestire questo cambiamento da dentro, mantenendo una posizione nel mondo retrocompatibile con le scelte fatte nel passato, con l'abitudine di me che si è instaurata negli altri, chiunque altro. Il risultato è che oggi io mi sento diverso, anzi sono diverso, anzi semplicemente sono. Il diverso è quello che è rimasto all'esterno, quello che prova a mantenere un ponte tra il mio io e la mia rappresentazione negli altri.
Non credo sia possibile continuare a mantenere questo ponte. Non credo sia possibile continuare ad evitare di mostrare in modo evidente il mio io. Non credo sia possibile perché mi sta facendo soffrire, perché mi costringe spesso a rinunciare di fatto a quel cambiamento e a lasciarlo come idea, come consapevolezza inespressa, come tanti "sarebbe bello se…". Perché di fatto è sempre più debole il ricordo di quel vecchio me e quasi sempre è tenuto in vita da quel ponte che mi permette di proteggere gli altri e a tratti forse protegge anche me stesso. In questo mio percorso ho fatto pace con il mio io bambino, ho ringraziato il mio io che mi ha accompagnato fin qui e quello che ha affrontato la crisi e raccolto i pezzi. Ora è necessario che la distanza tra la mia superficie e la mia profondità venga resa più trasparente un po' alla volta.
Sono arrivato a questa conclusione perché in questo processo che sto vivendo credo sia finita la fase in cui prendo consapevolezza che oramai sono altro e sia iniziata la fase in cui ho il desiderio e la pulsione ad esplorare cosa sia questo altro. Per farlo ho bisogno di dare spazio a questo altro, permettergli di muoversi nel mondo alla luce del sole e non solo nei pensieri della mente. La potremo considerare come una chiamata alla libertà intesa come la possibilità di affrontare tali esplorazioni con tutto ciò che l'esplorazione comporta: il provare, il cambiare, il prendere strade nuove, lo sbagliare, il decidere come non avresti mai deciso prima. Ma soprattutto è darmi uno spazio in cui essere al centro, in cui in qualche modo vengo prima io. E questo è un cambiamento epocale nella mia persona.
Se mi rivolgo a quell'omino che abita in me e che sa già quello che io voglio prima ancora che io sia in grado di comprenderlo vedo tre direzioni di esplorazione sulle quali sento la necessità di muovere ulteriori passi.
La prima la potremmo chiamare Esplorazione Intellettuale e rappresenta tutto ciò che caratterizza il mio (nuovo) pensiero. Molto di questo pensiero resta semplicemente nella mia testa e non si mette alla prova con il mondo esterno: il blog è di fatto l'unica manifestazione di questo processo al quale voglio dedicare più spazio, più energie e forse un po' più di coraggio.
La seconda direzione la chiamerò Esplorazione Emotiva ed è la più nuova e la più travolgente: ho vissuto tanti anni della mia vita subordinando la mia emotività ad una analisi razionale che finiva sempre col sopprimerla e soffocarla. Ho coperto il mio cuore con strati di impalcature logiche pur di non accettare quello che sentivo. Il mio cuore batte dietro queste impalcature fatte di costrutti ed etichette che nel tempo mi sono appicciato addosso e sulle quali ho confidato tutto questo tempo. Sulle quali forse anche chi mi sta intorno confida. Le poesie sono state la testa d'ariete che ha fatto breccia in quella fortezza liberando una parte di battito ed un mondo è nato per me. Un mondo tutto da imparare, un mondo sconvolgente, con poche mezze misure. Un mondo in cui anche io ho sentito la presenza dell'istinto, del sesto senso, della sensazione sulla pelle. Scrivere poesie è ad oggi la mia più grande terapia emotiva e ne ho avuto la conferma quando qualche giorno fa, per la prima volta, ho accettato leggerne alcune a voce alta per una amica. Non lo avevo mai fatto e il cuore è sussultato nel petto, l'impatto della mia voce è stato dirompente ed emozionante (e io non sono un grande fan della mia voce), le impalcature hanno tremato e non posso non cercare di svitare qualche altro bullone, di far cadere qualche altra parete.
Ed infine, come in ogni storia che si rispetti, è il turno della chimera, del grande ostacolo: l'Esplorazione Relazionale. Mettermi di nuovo davanti alle relazioni e mostrare il mio io. In questo grande incastro di persone che è la vita riuscire a sostenere la mia forma e lasciare che siano gli altri, se sono disposti, ad adattarsi ad essa è sicuramente l'avventura che più mi spaventa. Significa abbassare il senso di responsabilità e il tasso di protezione, accettare di essere io quello che inizia a scollare l'immagine impressa di me non più aderente con ciò che mi sento di essere. Significa accettare di perdere qualcuno lungo la strada. Oggi, a parte te, forse solo una persona è connessa senza filtri al mio io autentico perché non ha fatto esperienza del vecchio me e quindi da parte mia non sussisteva una precedente realtà da proteggere. Tutte le mie altre relazioni partono da chi non sono più e hanno quindi bisogno di essere riconsiderate, riscoperte e ricollocate ed è questo che più di tutto mi spaventa e mi crea tensione.
Mi viene in mente, mentre scrivo questi pensieri, il verso "Il peggiore dei finali non cancella mai un inizio" della canzone di Mr. Rain "Fiori di Chernobyl".
Non so che forma avranno e se ci saranno dei finali in questa esplorazione, ma sono grato di tutto quello che ho condiviso con le persone che ho incontrato e spero che con ognuna ci sarà modo di riscoprirsi insieme. Mi muoverò con molta lentezza e molta gentilezza in questo processo perché il mio cambiamento non sia causa di un dolore o una delusione abbandonata, perché non traspaia indifferenza verso chi mi sta intorno, ma tutto l'affetto di chi semplicemente non può più non essere se stesso.
Ecco allora il gioco di parole con la parola manifesto (sostantivo, aggettivo e presente del verbo manifestare): iniziare a rendere visibile e tangibile questo cambiamento nel mio stare nel mondo e non solo nel mio essere nel mondo (che a sua volta può venire mascherato o non considerato). Una realtà manifesta è una realtà che possiamo accettare o non accettare, condividere o non condividere, ma che non possiamo non considerare come presente. E io voglio essere presente e integro specialmente a me stesso.
Come ogni manifesto che si rispetti ho definito una lista: una lista di provocazioni e atti di gentilezza, di accoglienza verso l'altro senza umiliazione. Leggerai principi che probabilmente hai già sentito e che ho riunito come punti di risonanza del mio nuovo io: concetti che in qualche modo mi fanno vibrare e per i quali vorrei arrivare ad essere una testimonianza vivente. Credo che questo sia il fine ultimo nei tuoi confronti: averti permesso di conoscere chi mi sento di essere.
Questo sforzo rappresenta una stella polare e non una ricetta, la rotta è da scrivere e il come da scoprire. Avevo bisogno di mettere davanti agli occhi un elemento a cui ritornare per chiedermi se quello che sto facendo o che farò sarà funzionale a ciò che sono e a renderlo palese (manifesto appunto).
La conclusione che è riassunto di tuto quello che ti ho scritto e introduzione alla lista che segue è la consapevolezza che ad oggi posso dire di essere cambiato ma che la mia vita non ha subito una trasformazione coerente a quel cambiamento e sono arrivato al punto in cui questa differenza non è più tollerabile.
I punti del manifesto
- Tradisci le aspettative: mettiti al primo posto
- Datti tempo
- Sei quello che vivi
- La felicità non è mai un errore
- Il futuro non ha storia
- Lascia andare
- Una fine non è un fallimento
- Vai a cercare il bello alla fine del dolore
- Non giudicare e non giudicarti
- Credi nella bontà e nella gentilezza
- L'equilibrio viene da dentro
- Se non esiste un modo inventalo
- Non esiste una sola verità
- Puoi cambiare idea
- Non accontentarti
- I tuoi desideri contano
- Scopriti ogni giorno
Ho cercato di dare un senso circolare a questa lista una sequenzialità in cui la fine richiami in un certo qual modo l'inizio, ma non so se ci sono riuscito.
Vedremo.
A presto,
M.