2024-01-12

Scritti Rapidi #3

Capiamo le domande di aiuto?

Caro E.,

un pensiero che in realtà è una grande domanda e perplessità su cui ragionavo i giorni scorsi: ma secondo te, siamo veramente capaci di capire le domande di aiuto che ci vengono rivolte?

Non so se a te sia mai capitato di aver chiesto un aiuto e di aver ricevuto affettivamente un supporto ma che quel supporto non era esattamente ciò che avevi chiesto, come se la tua richiesta non fosse stata capita. Ma come si fa a capire una richiesta di aiuto?

Il mio ragionamento è questo: una richiesta di aiuto è solitamente associata ad un problema di qualche tipo da risolvere, quindi se io so ricondurre il problema ad uno dei problemi che so risolvere sono in grado di fornire la soluzione come aiuto. Ma è veramente questo quello che ci viene chiesto? Veramente chi ci chiede aiuto ci sta chiedendo una soluzione da applicare ad un proprio problema?

Non lo so, a volte non ne sono convinto, a volte penso che cerchiamo di convincere l'altro di avere il problema che noi pensiamo che abbia perché è il problema che noi sappiamo risolvere. A volte penso che abbiamo l'ossessione di razionalizzare quella domanda di aiuto per trasformarla in qualcosa di oggettivo per il quale poter definire un piano. Per la quale esiste una sorta di risposta "giusta", o almeno "non sbagliata". Forse in realtà abbiamo paura di dare una risposta sbagliata. Ma ci siamo mai chiesti se effettivamente quella che serve è una risposta?

Io penso che le domande di aiuto siano sempre accompagnate da una vulnerabilità, sono accompagnate da uno stato emotivo. Ma quanto sono in ascolto le nostre orecchie emotive? Quante domande non sentiamo con quelle orecchie?

Chiedere aiuto è probabilmente la cosa più difficile da fare per un essere umano, perché non siamo educati a farlo: viviamo nel mondo del "chi fa da sé fa per tre", del "tenerci tutto dentro perché non sono problemi degli altri". Eppure credo che la nostra emotività non si fermi a questo, credo che quelle domande le faccia lo stesso: ma se non siamo stati educati a chiedere, figuriamoci ad ascoltare.

Io non so se quello che ho scritto è vero e, se lo fosse, non ho idea di quale sia la ricetta per attivare quell'orecchio emotivo in grado di ascoltare le domande senza preoccuparsi di conoscere la risposta, senza dover deformare quella richiesta in qualcosa di risolvibile. Forse il primo passo è accettare di non avere risposte, che le risposte non devono arrivare da noi, che forse serve solo un po' di presenza e di fiducia "disinteressata", priva di pretese. Non lo so.

Magari tu hai qualche idea.

A presto,
M.