2024-02-25

Suggestioni Letterarie #9

Edificare spazi sicuri

Caro E.,

come posso creare concretamente un luogo sicuro per te?

Sarebbe facile (forse) creare un luogo in cui tenerti al sicuro (e rovinare la tua vita). Sarebbe facile creare un luogo in cui insegnarti a vivere come me, in cui spiegarti cosa fare per restare al sicuro. Un luogo fatto di aspettative e di preconcetti, di regole elette a passepartout per la vita, di idee e pensieri elevati a realtà oggettive. Un luogo di giudizio verso il diverso (in senso lato, a tutto ciò che è diverso), di omologazione per non rischiare. Un luogo per farti morire presto.

Ma allora come si costruisce un luogo sicuro ma che non ti tenga al sicuro? Un luogo sicuro che non sia prigione, un luogo sicuro per il quale non ci sia un prezzo da pagare per abitarlo, ovvero quello che esclude l'altro?

Forse ti ho già scritto a proposito di luoghi sicuri, ma non mi ero ancora abbastanza interrogato sul come renderlo reale, concreto, tangibile e abitabile. Per fortuna, come sai, l'Universo se lo ascolti ti ispira sempre un chiave di lettura: la mia sono stati due libri e una serie tv che hanno come tema portante l'educazione sessuale/affettiva e l'identità di genere.

Sono temi che credo oggi ogni genitore dovrebbe prendersi la responsabilità di approfondire per conoscere se stesso, o forse riconoscere se stesso, e per essere di sostegno nella crescita e scoperta dei propri figli e dei figli della comunità che abita. Ma non è del tema in sé che ti voglio parlare, avremo modo e tempo per quello. Così, senza quasi rendermene conto, ho trovato il primo pilastro di questo luogo sicuro: la conoscenza.

Non posso pensare di bastare a me stesso e non posso accettare che basti ciò che sono stato: devo guardarmi fuori, guardare il mondo in cui abiterai e vivere in quel mondo, non rifiutarlo a causa del mio vissuto e della mia esperienza. Un luogo sicuro è un luogo in cui potremo parlare la stessa lingua, potremmo comprenderci al di là dell'opinione o della convinzione. Un luogo in cui potremo sempre comunicare, consci di comprenderci.

E mentre scrivo questa ultima frase, volto la testa e il secondo pilastro è spuntato ad un centimetro dall'orecchio: il rispetto. Tu sei una persona, non diversa da me in quanto tale, estranea a me in quanto vita. Questo significa che innanzitutto questo spazio è anche tuo e insieme lo edifichiamo: la realtà di questo spazio è somma di pensieri e non concessione dall'alto. Per realizzare questo credo serva tenere sempre a mente il rispetto, sia verso me stesso che verso di te e di chiunque abiti questo spazio. Rispetto per la tua presenza, per le tue idee, per le tue opinioni. Rispetto della tua individualità.

E allora per realizzare questo rispetto serve poggiare i piedi nel pilastro centrale, quello più difficile da costruire ma in grado di resistere ad ogni avvenire: l'accoglienza. Per me significa accogliere ciò che sei e che sarai in ogni istante, garantire sempre che quel tuo io possa esprimersi ed entrare in quello spazio, non precluderti mai la possibilità di manifestarsi all'interno di quello spazio, ma prima di tutto significa mostrarti che ci si può esprimere, mostrarti il rispetto che io nutro nei miei confronti e che tu dovrai sentirti libero di nutrire nei tuoi. Accogliere significa anche accettare, accettare che la realtà è in mutamento è vive del pensiero di chi la crea; accettare che il pensiero cambia e ricominciare a conoscere per garantire e garantirti sempre quel rispetto. Come vedi i tre pilastri danzano e con loro danza lo spazio: sono struttura e fondamenta, non possono appoggiare su qualcosa di rigido e immutabile, perché per funzionare quello spazio non può contemplare il paragone, non può contemplare qualcosa diverso dalla soggettività: non si eredita lo spazio di qualcun'altro,non si può costruire lo spazio uguale a quello di altri. Ogni spazio vive e muore in ogni stante di vita delle persone che lo abitano.

Per vivere questo spazio, in ultima istanza, è necessario abbracciare la complessità, rifiutare l'idea della semplificazione che esclude significati e possibilità ma ricercare sempre la strada dell'accessibilità: la complessità non è preclusa all'accessibilità ma non deve essere sacrificata alla semplificazione.

Sarebbe facile abbracciare generalizzazioni e costringerti in esse, lasciarti solo nel cercare di manifestare la tua complessità contro quelle semplificazioni. Invece io voglio essere per te un luogo in cui porre domande che ancora non hanno una risposta. Vorrei che insieme costruissimo uno spazio in cui al concetto di normalità non viene mai associato il concetto di giusto: uno spazio di conoscenza pronto a contemplare qualcosa di nuovo. Un luogo dove poterti sentire a posto, anche quando altri ti dicono che non lo sei, dove recuperare le forze per ritornare da quelli con la serenità di chi è se stesso.

Quindi, come concludere questo pensiero? Forse dicendo che l'unico spazio sicuro è lo spazio che costruiamo per noi stessi e che apriamo al mondo, accettando di contaminarci di rispetto, accettazione e conoscenza di ciò che è altro da noi, rimanendo sempre una nuova versione di noi stessi, sempre autentica e costantemente in mutamento.

Forse per me essere padre significa imparare riscoprire me mentre conosco te, che sei maestro nell'aprirmi il tuo spazio.

A presto,
M.