Caro E.,
lascio questa lettera a te con qualche parola che se potessi vorrei dire al me stesso di tanti anni fa, quando aveva all’incirca la tua età mentre scrivo, per accompagnarlo nei suoi anni di vita in questa parentesi di eternità che gli è stata concessa. Non sono bene quali sono i confini, dove smetto di scrivere a me e inizio a scrivere a te o viceversa. Prendila così, come viene.
Se potessi tornare indietro e sedermi vicino a quel bambino in salopette che parlava un po’ in terza persona e camminava un po’ sulle punte dei piedi gli vorrei dire di continuare ad ascoltare il suo cuore, perché sicuramente a quel tempo lo faceva. Gli racconterei che la mente ha la grande capacità di plasmarsi ed evolvere nel corso del tempo, invece il cuore è custode di una sapienza antica, molto più antica del muscolo che la contiene. La mente è influenzabile, invece la cassa toracica protegge il cuore e la sua volontà pura, che trascende il tempo, trascende ogni dimensione e ogni contesto in cui si è ritrovato a battere. Il cuore conosce la sua realtà, per costruirla serve tanto coraggio, a volte anche troppo. Tanto che le costole, spesso, si trasformano in sbarre.
Il tempo, il tempo terrestre e il suo contesto, ti dirà che per vivere “giustamente” è meglio prendere in prestito il passato degli altri, farne il nostro presente e da lì in avanti vivere il copione di qualcun altro, per imitazione o contrasto (che è l’imitazione di qualcun altro alla fine). Credo sia un istinto di sopravvivenza e di accettazione: credo sia un modo per avere un posto senza doverlo creare.
Creare… creare è una parola che in questi ultimi anni sta diventando un tarlo: creare, creare significa portare alla luce qualcosa che prima non c’era, qualcosa che porta al suo interno un seme e un nucleo di originalità. Allora perché non potrebbe essere una nuova realtà? Perché non creare una realtà nuova, inconcepibile fino a questo momento? Creare realtà, sembrano quasi ossimori. Curioso.
Gli direi di non spaventarsi della paura, perché spesso è l’anima che cerca di districarsi da quell’abito che gli hai messo addosso e nel quale non si sente a suo agio, potrai scegliere se stringere i bottoni o spogliarti. Scegliere è un prerogativa che non ti verrà mai preclusa, la scelta però, purtroppo, la farai spesso con la mente e quei vestiti saranno sempre più stretti. Ma soffocare un’anima è impresa ardua, lasciarla libera ancora di più.
E su questo ultimo pensiero vorrei dirgli di imparare a lasciare andare, lasciare andare ogni cosa: ogni oggetto, ogni emozione, ogni persona e ogni situazione, infine se stesso.
Ti vorrei dire che nulla ti appartiene e mai ti apparterà, come non appartiene a nessun’altro. Le mani non sono fatte per trattenere e le gambe non sono fatte per trattenersi. Prima farai i conti con questa verità, prima ti libererai da te stesso. Io lo sto imparando molto tardi.
Vivo trattenendo ogni cosa del mio passato e con ogni proiezione possibile del mio futuro, vivo periodi di estrema ansia e frustrazione quando non riesco a immaginare il cammino, quando non riesco a vedere il sentiero. Ancora giochi della mente, potentissima mente.
Ma il futuro non esiste, perché né tu, né lui, né io esistiamo nel futuro e questo il cuore lo sa, conosce solo la volontà del presente. E la sentirai ad un certo punto quella volontà, capirai esattamente qual è questa volontà: ma nonostante questo, nonostante le vibrazioni felici che l’idea di quel presente ti provocherà, rinuncerai ad andarci. Sacrificherai quel desiderio all’altare del futuro, gli dirai “magari domani”.
L’io del futuro esiste nel mondo delle idee frutto dell’estensione del passato e del confronto con chi quel futuro lo ha già superato: ma noi non esistiamo ancora.
Non lasciare andare e non ascoltare il cuore sono i due semi del dolore: quando trattieni qualcosa di diverso da ciò che desidera il tuo cuore ha origine il dolore. Non importa di cosa si tratti, grande o piccolo che sia. Le dimensioni assolute sono relative, irrilevanti. Un dolore è un dolore. L’attrito tra il desiderio e la paura è il seme del dolore. Tutti lo proviamo, lo sperimentiamo e ci dobbiamo passare attraverso, perché ci aiuta a comprendere quelle ragioni del cuore che la ragione non conosce, come diceva Pascal. Il cuore non comunica con la logica, ha bisogno di essere tradotto e non sempre il desiderio è traducibile. Siamo tutti poeti chiamati ad inventare immagini per rendere reale quel desiderio: immagini che forse prima non esistevano. Quelle immagini si chiamano realtà. La tua realtà insindacabile e indiscutibile, con buona pace delle opinioni altrui. Difficile da accettare, ancora di più da praticare questa realtà. Ma sembra veramente spettacolare, cosa ne pensi?
Ti vorrei supplicare di continuare ad ascoltare il cuore: tutto il resto saranno solo conseguenze, ma mi hanno detto che avrai l’energia per affrontarle (io ancora non lo so): il cuore ripaga sempre la fiducia. Allora fidati di te stesso, di colui che vive dentro il tuo petto.
Io non so fare tutto questo, vivo mille attriti tra le mie costole, la mia cassa toracica è spesso una prigione. Ora mi rivolgo a te, figlio mio: lascia la porta aperta, io ti sosterrò.
Ci siamo quasi, ultima cosa.
Al me stesso di tanti, tanti anni fa vorrei dire di non smettere di piangere, di ricordarsi sempre come si fa.
Non c’è molto altro da dire su questo: il pianto soffocato annega l’anima, annega i sogni, annega i desideri, annega il te profondo. Tu piangi, fidati di me che non lo faccio da così tanto tempo da essermene dimenticato.
Così sono arrivato alla fine di queste confessioni: ascolta il tuo cuore, lascia andare, piangi. E tra le righe, ricordati di creare. La nostra anima è antica e porta la sua sapienza dentro al cuore. Siamo qui per un motivo, che non può certo essere vivere come qualcun altro. Deve essere qualcosa di più, deve essere un’espansione di questo “spazio”. Strana consapevolezza questa e strano il percorso per raggiungerla. Verrebbe da chiedersi ogni tanto “perché?”, ma non credo la risposta ci sarebbe d’aiuto. Magari di questo chiacchiereremo un’altra volta.
Sono state una bella doccia fredda, a proposito di consapevolezza, queste parole, messe così, tutte insieme. Non è facile accorgersi di qualcosa e non riuscire a coglierla, restare fermi a guardare perché i muscoli non sempre rispondono: i piedi non si muovono, le mani non si aprono, i pensieri non diventano parole.
Mi rivedo negli occhi di quel bambino immerso, come ogni bambino, in un modo di adulti avviato e consolidato con la grande missione, che ha ogni bambino, di liberare chi si è dimenticato i propri desideri. Io forse non ci sono riuscito, ma tu figlio mio, ci stai riuscendo con me.
A presto,
M.